Arena-delle-balle-di-paglia

BEVANO è uno dei pochi fiumi che nasce ai piedi delle colline romagnole, accoglie a sè le acque di tanti fossi e  torrenti,  arriva al mare sfociando in una zona costiera ancora incontaminata.

BEVANO EST e’ un’area di servizio sull’autostrada, rappresenta l’idea del “non luogo”, un posto quasi fuori dalla realtà, dove s’incontrano e si sfiorano materiali umani di ogni genere.

 

Bevano Est è un progetto musicale che pulsa dal 1991 e attraverso l’uso di strumenti acustici e della tradizione, propone un mischio di sonorità, ritmi e melodie, catalizzate dal semplice desiderio di comunicare un modo originale e riconoscibile che traversa le consuetudini. Non c’è necessità di un’appartenenza stilistica ma l’orgoglio di affermare un’individualità consapevole, curiosa ed accogliente.

La loro musica e’ suonata con l’anima e con il corpo, con la dolcezza e con la rabbia, con la gioia e la malinconia.

La loro musica è semplicemente ….musica.

Bevano Est si forma nel 1991all’interno della scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli  come progetto di studio della musica popolare condotto dal Maestro Riccardo Tesi. Da subito l’attenzione viene rivolta ad una musica della tradizione ampia  e trasversale senza porsi il problema di una riproposizione filologica e specifica di un’area, nasce cosi un metodo di lavoro che osa accostamenti di melodie e di ritmi in una fusione di generi che crea uno stile originale e riconoscibile.

Dicono di noi

Rustico e raffinato, sono aggettivi che ben si addicono a questo gruppo che, della musica popolare conserva la vispezza, il brio, lo struggimento, gli eccessi, l’esortazione al ballo, con una attualità che arriva dalla lezione dei maestri contemporanei, e a una grazia compositiva che lo rende unico.

 M.Gualtieri

Hanno molti anni di strada sulle spalle, e s’erano già incontrati con Fabrizio De André nel progetto di Canti Randagi, a rileggere le sue canzoni assieme a Peppe Barra, Baraban, la Ciapa Rusa, Riccardo Tesi ed altri. Bevano Est è la faccia spinosa e contorta e per niente facile della musica popolare italiana contemporanea: dell’estate cantano il sudore e la sete, della campagna la fatica del lavoro, della fabbrica il peso dell’aria. Le loro musiche non sono mai facili, e accompagnano canzoni struggenti ed ammaccate dalle bastonate dell’esistenza, accadimenti teatrali, performance di danza e gesti in cui si tenta il volo, filmati immaginari. Il gruppo riesce nell’incredibile scommessa di trasportare le coordinate geografiche del dramma raccontato da Fabrizio in questa canzone commovente dal Libano alla campagna emiliana, rendendo universale il dolore della perdita drammatica di un figlio.

Da “A” rivista anarchica (presentazione di” Mille Papaveri Rossi”)

La  musica dei Bevano Est e una raffinata mescolanza di nuovo e di antico, di tradizione e di nuova creazione. Si ritrovano elementi di tradizione popolare contadina come pure di jazz, di melodie jiddisch e di sapori mediterranei. La loro musica coinvolge  e attrae l’anima.

Chi ascolta si riconosce semplicemente e se poi si ha la fortuna di vedere i musicisti suonare la loro musica, rimane scolpito un grande incoraggiamento verso la diversità.

C’é qualcosa nell’alchimia della loro musica che risveglia caldi sentimenti umani personali e collettivi, che obbliga il corpo a una volontà di muoversi e di partecipare. Nella loro musica aleggia anche qualcosa di romantico accompagnato non di rado da una smorfia ironica. Si ritrova quello che nelle mutilazioni dell’io moderno si credeva di aver perduto per sempre.

M.Beelke

“Guarda e impara un po’ a guardarti / che il tempo passa, senza fermarsi / e tu sei già abbastanza avanti”, scrive Ciuma in “No comment”, canzone tratta dall’ultimo cd dei Bevano Est, Ramingo. Che la musica popolare sia una solida base su cui costruire un futuro è ormai assodato, fiumi di parole si sono spesi sul senso e sull’utilizzo della tradizione, e sul significato stesso del termine. Ma a riprendere in mano la produzione dei Bevano Est si annusa subito, soprattutto per chi ha già assaggiato a suo tempo Gradisca o Fuoco Centrale, un profumo di attualità d’altri tempi che a distanza di anni stupisce come ritrovare un amico di scuola dal viso autorevolmente scavato dal tempo. Il quartetto romagnolo, che anni fa scelse uno dei non-luoghi per eccellenza come l’autogrill per collocare attraverso il nome il proprio suono, gioca a delocalizzare il baricentro del folk: l’organetto, la chitarra, i clarinetti e il violino dei nostri fotografano un paesaggio che scorre nei finestrini di una macchina in corsa, una specie di autostrada stretta e semplice tra le colline romagnole. La forza del gruppo sta nel loro essere visivi con il suono e l’orchestrazione: le musiche del passato, quelle del valzer e dei suoi temi portati in braccio su pedane di terra e vino, ma anche quelle del tango o del klezmer presi in prestito da popoli affini nell’urgenza del ballo, vivono di immagini sincere nei loro brani. Non per nulla anche con le colonne sonore sono a proprio agio: splendida quella di Il dolce rumore della vita di Giuseppe Bertolucci. Ed è questo che comunque ce li fa ascoltare con lo spirito aperto e partecipe con cui ci si avvicina alla musica popolare, anche nelle composizioni originali firmate Delvecchio o Bendi, nonostante la facilità di “disegno sonoro” li renda più vicini a compositori e orchestratori, piuttosto che ad esecutori o portavoce. Non è di sicuro folk revival, è una rivisitazione della tradizione attraverso il filtro della consapevolezza umana, più che della tecnica. È difficile, almeno per me, calibrare frizione e acceleratore sul punto di equilibrio analisi/complimento, perché la loro abilità nel portare a passeggio temi di grande ricchezza umana ha effettivamente qualcosa di estraneo dal tempo: il cuore che cavalca la vita senza rammollirsi, il sogno che conserva un corpo materico, essenziale, onesto. Umano. Bevano Est ha molte qualità, e anche i difetti che l’umanità – intesa come qualità, e non come genere – porta con sé.
Scusate, oggi mi si parano davanti solamente i pregi: tanto per cogliere i difetti c’è sempre tempo.

Daniele Bergesio